Camminando per via Clavature in direzione di Piazza Maggiore, tra le vetrine di noti marchi d’abbigliamento e l’ingresso al nuovo Mercato di Mezzo, ci si imbatte nell’ingresso di una chiesa, quasi nascosta tra le facciate dei palazzi. Spesso non è nota nemmeno tra i bolognesi, nonostante la sua importante storia e la celebre opera ospitata.
UN SANTUARIO IN CENTRO CITTA’
Parliamo di Santa Maria della Vita, santuario voluto nel 1287 da Raniero Fasari, fondatore della Confraternita dei Battuti.
Avete letto (o visto) il Codice da Vinci di Dan Brown? Il monaco che pratica la flagellazione come metodo di espiazione dei peccati, non è altro che un seguace moderno del movimento dei Disciplinati (o dei Battuti), nato nella prima metà del 1200 a Perugia ed esportato dal Fasari in tutta Italia.
A Bologna all’epoca arrivarono circa 20.000 seguaci e ancora oggi alcuni segni del loro passaggio sono rimasti.
Un esempio sono gli stemmi, raffiguranti tre palle appese a corde da flagellazione, sopra le botteghe di via Pescherie Vecchie.
LA CONFRATERNITA DEI BATTUTI
La Confraternita accoglieva gli infermi della città ed i pellegrini in viaggio verso Roma. Bologna si trovava infatti sulla via che portava direttamente al Papa, senza bisogno di pagare dazi.
Venne fondato così l’Ospedale della Vita, sito proprio a fianco della chiesa omonima ma oggi non più esistente.
Proprio di fronte venne invece eretto l’Ospedale della Morte, con accesso sotto al famoso porticato di via de’ Musei, ancora oggi denominato Portico della Morte.
La leggenda popolare tramandava che se nel primo erano ospitati i malati curabili, nel secondo si trovassero, al contrario, coloro che non avevano speranze.
La realtà era differente. L’ Ospedale della Vita ospitava soprattutto pellegrini mentre il secondo nacque per volere di una Compagnia (detta poi dei Devoti a S.Maria della Morte) che si occupava dell’assistenza ai condannati a morte.
L’angolo tra il Portico del Pavaglione e quello della Morte, proprio di fronte alla Basilica di San Petronio, era noto come l’Angolo della Morte perchè all’epoca vi venivano appesi i condannati a morte per impiccagione. Oggi in quel punto si trova un’antichissima farmacia che da molti è ancora chiamata Farmacia della Morte (non un nome rassicurante, lo ammetto).
CURIOSITA’
A Bologna il boia risiedeva in Palazzo Re Enzo (proprio dove oggi si trova lo storico locale “La Linea”). La casa contava di un piccolo davanzale, ancora oggi esistente, al quale la moglie del boia era solita porre dei vasi da fiore. Ogni volta che veniva compiuta un’esecuzione ed il marito portava a casa il denaro, la donna contenta, si regalava un nuovo vaso per abbellire il balcone. Quindi, per chi era rimasto fuori città per molto tempo, era facile conoscere, contando i vasi, la sorte dei condannati in attesa di giudizio.
IL COMPIANTO DI NICCOLO DELL’ARCA
Nel 1460 Niccolò dell’Arca, originario della Puglia, si trasferì a Bologna.
Gli venne commissionato, dalla Confraternita dei Battuti, la creazione di un’opera dedicata alla morte di Cristo, ancora oggi visibile presso la cappella destra della Chiesa di Santa Maria della Vita.
Così nacque il Compianto sul Cristo Morto, uno dei capolavori più famosi che si trovano a Bologna.
Sette sculture in terracotta raccontano il dolore della morte su un Cristo sdraiato, deposto dalla Croce, con estremo realismo ed espressività. Si pensa che proprio il fatto di risiedere a ridosso dell’Ospedale abbia dato a Niccolò dell’Arca ispirazione per lo strazio espresso dai personaggi.
D’Annunzio lo definirà “un urlo di pietra”.
I SOGGETTI RAPPRESENTATI
Il protagonista è Gesù, coricato al centro, su un cuscino dove l’autore riporta la sua firma: “Opus Nicolai de Apulia” (così veniva nominato dell’Arca prima di diventare famoso per la successiva opera “Arca di San Domenico”).
Dietro di lui, a partire da sinistra, troviamo Giuseppe d’Arimatea (che avrebbe proprio il volto di Niccolò dell’Arca). Egli, che domanda a Pilato il corpo di Cristo per poterlo depositare nella sua tomba, regge canonicamente le tenaglie per togliere i chiodi.
Subito dopo troviamo la prima delle tre Marie presenti: Maria di Salome, discepola di Gesù addolorata al punto di sentir cedere le gambe. Poi la Madonna, che incrocia le mani al petto per esprimere un dolore raccolto. San Giovanni è il personaggio che pare meno disperato, nonostante possa leggersi nei suoi occhi un pianto “composto”, senza lacrime.
Le figure più “urlanti” sono Maria di Cleofa, che sembra voler allontanare l’orrenda scena da sé e Maria Maddalena, che grazie al movimento creato dal mantello, sembra proprio accorrere sulla scena, strillando tutta la sua sofferenza.
Pensate che quest’opera, completamente in terracotta colorata, venne spostata per anni nella bottega di un macellaio, esposta alle macchie di sangue ed agli scarti di lavorazione. Nonostante tutto è ancora in buono stato di conservazione ed i colori restano evidenti.
Le statue sono a grandezza naturale ed è considerata la prima rappresentazione realistica della storia.
LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VITA
Ritornando alla Chiesa, essa è una delle più belle rappresentazioni barocche in città.
La sua Cupola, che spunta tra i palazzi ed è visibile da Piazza Maggiore, venne rifatta da Tubertini intorno al 1680, a seguito di un crollo.
Misterioso il ritrovamento dell’affresco sull’altare maggiore: risalente al 300 venne riscoperto solo nel 1600 grazie ad una intercapedine sul muro. E’ attribuito a Pietro di Giovanni Lianori e viene festeggiato ogni 10 di settembre.
Un’altro tassello aggiunto alla rubrica sulla nostra città… Se vi piace Bologna e volete visitarla non perdete gli altri articoli della Rubrica Bologna Passo Passo
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